Campiello del Tagiapiera
Il Campiello del Tagiapiera si trova nel sestiere di Castello, attaccato a Corte Rota di cui ho scritto un articolo che potrete leggere qui. A dire il vero a Venezia vi è ben più di una corte, un campiello o sotoportego del Tagiapiera. Per quello vi ho citato anche Corte Rota che è a pochi metri, potrete vederle tutte e due.
Questo Campiello del Tagiapiera si trova in Salizada Zorzi molto vicino al Campo di Santa Maria Formosa, quindi non dovreste aver difficoltà a trovarla. Come per ogni campo o campiello veneziano che si rispetti vi si trova presente la classica vera da pozzo.
Realizzata in pietra d’Istria di forma cilindrica con una cornice quadrata sostenuta da due piccole volute. Sui due lati del pozzo sono scolpite due anfore, mentre negli altri due lati sono scolpiti due scudi. La vera risulta poi ovviamente coperta con una lastra metallica, come protezione. Un tempo ovviamente da queste vere era possibile attingere l’acqua che serviva per tutte le attività domestiche.
Campielli Veneziani
Il campiello veneziano nell’urbanistica di Venezia identifica un campo di dimensioni più piccole, corrispondente a grosso modo alle piazzette o ai larghi delle altre città. In molti casi il campiello è costituito da un semplice allargamento di una calle o è una piccola appendice di un campo adiacente.
In epoca passata, spesso il campiello era un punto focale della vita quotidiana, costituendo di fatto un micro-quartiere in cui tutti sapevano tutto di tutti. Qui si realizzavano pettegolezzi, litigi, chiacchiericci e discussioni tra gli abitanti del luogo.
Tutta questa vita all’interno del campiello veneziano era all’ordine del giorno costituendo così un tessuto sociale. Cosa che col tempo purtroppo è andato in gran parte perduto. A dimostrazione dell’importanza che questi luoghi in passato hanno rivestito per Venezia, ad essi è stato dedicato un’importante premio letterario.
Il Premio Campiello. Campi, Campielli, e Corti veneziane, insieme a calli e canali, costituiscono l’agglomerato urbano veneziano. A tal proposito voglio allegare uno scritto di Antonio Manno laureato in Storia dell’architettura e dell’urbanistica e insegnante di Storia dell’Arte.
Corti Veneziane
La corte, assieme ai canali, alle calli e agli edifici è un elemento costitutivo del tessuto edilizio abitativo veneziano. Alcune aree della città, come nei dintorni di San Giovanni Grisostomo, sono costituite da gruppi di corti, più tardi messe in comunicazione mediante sottoporteghi. Il termine cohortem, in origine designava un cortile, un recinto per gli animali, ma anche uno spazio scoperto all’interno di una domus.
Nella corte veneziana s’intrecciano elementi e funzioni tipici della villa tardo antica, ma anche della casa urbana, come attestano alcuni elementi costitutivi, tracce di attività e funzioni diverse: l’approdo d’acqua, l’ingresso da terra con cancello notturno, il pozzo, il porticato, i magazzini, le stalle per i cavalli e altri ricoveri per animali come pure, più tardi, scale, patere, rilievi e stemmi.
Le testimonianze
Le testimonianze scritte più antiche su questo spazio risalgono al XII secolo e gli esempi ancora superstiti sono stati identificati nell’impianto distributivo originario di case-fondaco veneto-bizantine come Ca’ da Mosto o Ca’ Loredan, situate sul Canal Grande, in prossimità del mercato realtino.
Questi edifici gentilizi, nei quali si univano funzioni commerciali e abitative, presentano, in posizione opposta ai loro approdi acquei e alla fine di un portego passante, un’ampia corte.
In questo spazio di servizio sono cresciute le abitazioni per i famigli, per i servi (schiavi orientali e balcanici) e la gente di mano, al servizio della Casa. Qui sorgevano le abitazioni in affitto (domus de sezentibus), attestate fin dal 1164. Realizzate in legno, ai margini di orti e vigne, serializzate, queste abitazioni convivevano con le stalle e le altre stanze di servizio.
La crescita dei ceti artigianali e cittadini verificatasi dopo la conquista di Costantinopoli, nel 1204, ha consentito un incremento della rendita immobiliare e avviato una lunga fase di sviluppo edilizio grazie alla costruzione di corti separate dalle abitazioni nobiliari.
Nascono così le case seriali in affitto, in muratura, di uno o due piani, prospicienti una calle o raccolte in corte e realizzate da scuole di devozione, corporazioni di mestiere o comunità forestiere.
Le case seriali in affitto
Ne sono un esempio le corti del Tagiapiera (e riecco qui il nostro Tagiapiera), a San Giacomo dell’Orio e Sant’Aponal; del Calderer, a San Giovanni evangelista, oppure le corti Bressana, ai Santi Giovanni e Paolo, e del Tentor, a San Bortolomio. Un caso particolare resta la corte di San Marco, lungo il rio dei Cereri e nelle vicinanze dell’ex chiesa di Santa Maria Maggiore.
Si tratta di ventiquattro abitazioni popolari in affitto, realizzate per i “poveri confratelli de la Scola di San Marco, li quali sopra tutto habia fioli”, secondo le volontà espresse nel testamento del finanziatore, Pietro Olivieri.
Va inoltre ricordata la corte Bottera, il cui toponimo rinvia a un’attività artigianale, ma il cui impianto faceva parte di Ca’ Contarini della Zogia. Analogamente, anche la corte del Fontego deriva il proprio nome dal fondaco delle farine, istituito nel 1704, ma al suo interno sono ancora visibili i resti più antichi di una casa veneziana in muratura, identificabili nelle arcate di un porticato romanico-bizantino.
Un caso analogo è la corte del Teatro, a San Cassiano. La corte della Terrazza, con raffinati rilievi lombardeschi, è quanto rimane della Ca’ Magno, distrutta da un incendio nel 1686.
Una corte gentilizia dalle forme irregolari, frutto dell’aggregazione di più palazzi, è la Corte Morosina (leggine qui l’articolo), a San Giovanni Grisostomo, il cui portale d’accesso è sormontato da un rilievo trecentesco raffigurante uno stemma e un elmo con drappo.
Infine, la corte Petriana, a San Silvestro, appartenuta a una famiglia cittadina che, ispirandosi a modelli gentilizi, ostenta i propri stemmi e organizza i propri spazi come quelli di un’antica casa-fondaco.
Studi storico artistici
Gli studi storici, artistici e architettonici sulle corti, fioriti durante la seconda metà del Novecento, non rispondono ad un quesito non meno interessante. Quand’è che la corte diventa oggetto di attenzione e di descrizione pubblica?
Le antiche guide della città, salvo rarissime eccezioni, ignorano tali luoghi. La corte, come spazio privato di nobili o cittadini, non è funzionale alla celebrazione o alla descrizione delle meraviglie cittadine. Vedutisti come Marieschi, i Guardi e persino Longhi, così attento alla vita nelle strade, ignorano le corti. ù
A occuparsene è invece Canaletto che, oltre a due vedute di corti gentilizie, ha dipinto –con sguardo scientifico- la corte del Tagiapiera che sorgeva davanti alla chiesa della Carità (ora Gallerie dell’Accademia) e posta nella riva antistante del Canal Grande.
Goldoni e i campielli
Altre testimonianze si reperiscono invece nelle opere del Goldoni. Nelle sue commedie, come L’amor artigiano, La casa nova e Il campiello, messe in scena fra il 1741 e il 1756, la corte diventa il salotto comune del popolo, il teatrino della plebe veneziana.
Dopo la caduta della Repubblica e sotto il giogo delle dominazioni straniere, alcuni studiosi si occupano del patrimonio artistico di Venezia. Fra questi, Pietro Selvatico, che riproduce anche le sculture minori e meno note, come i rilievi in corte del Milion o della Terrazza.
Gli faranno eco autori di guide e incisori che, sensibili al turismo nascente, non mancano di segnalare la corte Contarini del Bovolo, nota per l’unicità della sua scala a chiocciola.
Anche i fotografi locali dell’epoca, come Filippi e Naya, si spingeranno negli angoli più remoti della città, dove giungerà anche qualche pittore, per immortalare quell’umanità che Goldoni aveva descritto con tanto acume e ironia. Infine, i viaggiatori colti, i letterati che, come Ruskin o James, contribuiranno non poco all’immagine di una Venezia romantica e pittoresca.
Il Novecento
I Tagiapiera
Per concludere un’altra interessante considerazione, ma chi erano questi Tagiapiera? Ai tempi della Serenissima i tagiapiera erano gli artigiani che lavoravano di scalpello per sgrezzare (compito dei giovani apprendisti e lavoranti), lisciare, rifinire la pietra e scolpire (prerogativa dei più esperti ed abili) gli elementi decorativi lapidei, i pilastri e gli architravi di edifici, monumenti e chiese.
Utilizzavano principalmente la pietra ricavata dalle cave dell’Istria, ma anche la trachite ed il calcare bianco provenienti dai colli Euganei. In tutti i sestieri di Venezia si trovano toponimi che ricordano questa fiorente attività che veniva svolta in botteghe e laboratori dislocati in calli, corti, campi detti appunto del Tagiapiera.
Nizioleti con questo nome si trovano a San Marco (vicino a San Maurizio, San Salvador e San Fantin). A Castello (nei pressi di Ruga Giuffa e della Ca’ di Dio). A Cannaregio (in Lista di Spagna, San Marcuola, San Felice e Santi Apostoli). A Santa Croce (vicino a Campo della Lana e San Giacomo dall’Orio).
A San Polo (in campiello del Sol, Rio Terà dei Nomboli e Campiello Zen). A Dorsoduro (vicino al campiello degli Squelini). Potete ben vedere con il termine “Tagiapiera” quanti luoghi vi siano sparsi per la città.
Dal legno alla pietra
L’utilizzo della pietra sostituì quello del legno in voga fin tutto il 1200. Dal 1300 in poi si passò ad utilizzare anche la pietra, che mano a mano prese sempre più piede. La Scuola dei Tagiapiera, istituita nel 1307, fu una delle più antiche scuole d’arte veneziane. All’interno dell’arte di tagliare la pietra si distinguevano più categorie.
Dagli apprendisti ai “paroni de corte”
Gli apprendisti o garzoni erano coloro che iniziavano il mestiere a dodici anni e imparavano nei cantieri o nelle botteghe per circa cinque anni. Dopo questo tirocinio divenivano lavoranti.
Questi ultimi erano pagati periodicamente e spesso abitavano nelle “case da serzenti” pagando l’affitto in denaro o con qualche giorno di lavoro in più. Seguiva poi la categoria dei maestri di bottega che erano nello stesso tempo costruttori, lapicidi, scultori, importatori e commercianti. Alcuni di questi avevano il proprio barcone per il trasporto delle pietre via mare.
E per finire si trovava la categoria dei “paroni de corte”, la quale comprendeva tutti gli artigiani che avevano molta esperienza, investivano i loro denari, e erano proprietari di bottega e dello spazio per lavorare detto “corte” o “squero”. In questi spazi si svolgevano i lavori più grandi.
Tagiapiera da tutta Europa
Erano molti i lavoratori che ambivano a venir a fare i Tagiapiera nella nostra amata Venezia. Questi arrivavano soprattutto dalla Lombardia e dalla Svizzera. Gli stranieri, per entrare nell’Arte, dovevano prestare giuramento e pagare una specie di tassa chiamata della “buonentrada” (buona entrata).
Il mestiere di tagiapiera si tramandava di padre in figlio ed era spesso praticato da tutti i maschi della famiglia.
Conclusioni
Come vedete ho voluto prendere ad esempio un campiello di Venezia, quello del Tagiapiera, per parlarvi un po della storia e della cultura che costituivano corti e campielli veneziani. Non a caso ho utilizzato quello dei Tagiapiera, perché nella città vi sono molti luoghi che ne recano il Nizioleto.
Perché nell’ammirare le bellezze della città, non ci si sofferma mai a pensare ed osservare questi piccoli spazi tra le varie calli e canali che compongono Venezia.
Ma come avete potuto leggere, è proprio la costituzione, e l’unione di tutti questi luoghi, spazi, che prende forma la vita di Venezia. La cultura, le tradizioni e le usanze delle persone comuni che hanno reso grande la Repubblica di Venezia al pari dei grandi nobili veneziani.