I masegni triangolari
Anticamente tutta la pavimentazione pedonale di Venezia era in terra battuta. Venne sostituita pian piano dai più pratici mattoni di cotto disposti quasi sempre a spina di pesce. Solo a partire dal Settecento, si passò ad adottare i masegni (da macigni) per selciare dapprima le calli più importanti. Queste vennero chiamate Salizade (da selciate), per poi estendersi quasi ovunque.
Poche ormai sono le testimonianze dell’antica pavimentazione Venezia di mattoni di cotto. Una di queste si può trovare in Corte di S. Andrea che è divisa in due da un basso muretto. Da un lato del muretto, si trovano mattoni perlopiù a spina di pesce, dall’altro sono disposti paralleli e funzionali al pozzo.
Pavimentazione alla veneziana
Andiamo ora a leggere un estratto di Vittorio Foramitti su quella che è la storia della pavimentazione veneziana. Una testimonianza molto interessante su quello che è stata la pavimentazione a Venezia e quello che è tutt’oggi.
Qui sotto potete vedere la piccola corte di S.Andrea da Ramo de le Muneghe nel Sestiere di San Marco. Non è facile da individuare, affidatevi alla semplice Geolocalizzazione di Google Maps.
Storia di Venezia la pavimentazione
Nello studio di una città storica, l’analisi della pavimentazione degli spazi non edificati costituisce spesso un tema di studio che permette di comprendere abbastanza chiaramente la gerarchia degli spazi urbani e la loro evoluzione nel tempo.
Anche a Venezia, dove in origine tutti gli spazi esterni dovevano essere in terra, il tipo di pavimentazione e l’epoca in cui fu posata sono materie strettamente connesse allo sviluppo urbano e alla vita stessa della città. Questo si può notare anche nella toponomastica: le calli chiamate “salizzade” traggono il loro nome dal fatto che furono le prime ad essere pavimentate perché costituivano i percorsi pedonali principali o gli assi delle singole insulae.
Col passare del tempo, nella città si procedette alla progressiva pavimentazione di tutti gli spazi in sequenza gerarchica. Prima dunque i percorsi principali nei campi, le salizzade, i campi e le piazze più importanti, le fondamenta più utilizzate per l’attracco delle imbarcazioni o per il commercio ed i percorsi di accesso alle chiese dai canali.
A Piazza San Marco
E così Piazza San Marco ebbe la prima pavimentazione in cotto a spina di pesce nel 12671 nel 1324 l’attuale Riva degli Schiavoni fu selciata dal ponte della Paglia fino a Castello, nel XVI secolo furono realizzate le Fondamenta delle Zattere e le Fondamenta Nuove, che definirono i margini della città e consolidarono e rive in modo che non venissero erose interrando i canali.
I materiali usati furono all’inizio i mattoni, posati in “coltello” o in piano, e solo successivamente, a partire dal XVI secolo, venne utilizzata massicciamente la trachite euganea. Questo materiale è molto più resistente del laterizio e permetteva di costruire piani di calpestio duraturi, specie se usata insieme alla pietra d’Istria. Piazza S. Marco venne pavimentata in trachite per la prima volta nel 1723 su disegno del Tirali.
Nei luoghi di particolare importanza, come gli spazi antistanti le chiese o la stessa Piazza S. Marco, spesso la pavimentazione viene arricchita con disegni realizzati in pietra d’Istria. L’esempio più significativo è costituito dalla pavimentazione circostante la chiesa della Salute. Un argomento strettamente legato alla pavimentazione è quello dell’approvvigionamento idrico, una delle principali preoccupazioni dei Veneziani fin dalla fondazione della città.
Approvvigionamento idrico e pavimentazione veneziana
I pozzi veneziani, che si trovavano in ogni campo ed in molte corti, erano costruiti allo scopo di raccogliere e filtrare l’acqua piovana che proveniva dal terreno e dai tetti delle case, dove veniva raccolta tramite le gorne in pietra e convogliata a terra con “cannoni” in laterizio inseriti nelle murature. La struttura dei pozzi è particolare: sono costituiti da un invaso pieno di sabbia fine e circondato da banche di creta che avevano la funzione di impermeabilizzare ed isolare dalle infiltrazioni di acqua salmastra.
Al centro si trovava la canna del pozzo e la vera in pietra esterna. Sopra queste cisterne lo spazio doveva essere pavimentato allo scopo di sigillarle e di convogliarvi l’acqua tramite delle caditoie in pietra, le “pillele”. Così, le aree sovrastanti l’invaso delle cisterne sono una delle zone che furono pavimentate per prime.
Una documentazione interessantissima sulle pavimentazioni veneziane del passato è costituita dai “Cattastici” dei “Provveditori di Comun” conservati presso l’Archivio Storico del Comune di Venezia.
I Cattastici di Venezia
Questi registri, compilati nel 1786 sotto la guida del capitano degli ingegneri Paolo Artico, sono la “nota di tutte le strade, fondamenta e ponti di pubblica ragione, con le loro dimensioni, e qualità dei materiali, e suo stato” e descrivono puntualmente tutte le superfici esterne della città, divise fra quelle che erano di competenza dell’ufficio dei Provveditori di Comune e quelle di proprietà privata o di competenza di altre istituzioni.
Nei sei registri, uno per sestiere, sono elencate tutte le calli ed i campi divisi per “contrada” con l’indicazione delle superfici in passi quadri e dei materiali: “masegni scantonati” o “spezzati”, “cotto in cortello” o “in piano”, terreno. Sono inoltre descritti i ponti, le rive, i pozzi ed ogni altro componente della pavimentazione urbana, come le “pietre sbuse”, ed il loro stato di conservazione.
Esaminando i registri appare chiaramente che la maggior parte della città era pavimentata: su circa 218.000 passi quadri totali, il 52% era in masegni di pietra, il 13% in cotto “in cortello”, il 15% in cotto “in piano” ed il 20% in terreno. Le pavimentazioni in cotto o in terreno erano però limitate ai rami, sottoporteghi e calli secondarie ed a porzioni di alcuni campi.
La qualità delle pavimentazioni differenzia inoltre i diversi sestieri: S. Marco e S. Polo erano i sestieri più importanti, i luoghi dove si svolgeva la vita pubblica e commerciale di tutta Venezia. Non a caso dunque oltre l’80% delle pavimentazioni erano in masegni, mentre in altri sestieri meno rappresentativi la percentuale di pavimentazione in pietra cala fino poco più del 30% nel caso di Dorsoduro.
Nelle contrade periferiche, come a S. Eufemia alla Giudecca, si nota una netta prevalenza delle pavimentazioni in cotto ed in terreno, fino ad arrivar alla parrocchia di S. Nicolò, tradizionalmente abitata dai pescatori più poveri, dove addirittura non c’erano pavimentazioni in masegni nelle aree di pertinenza privata.
La pavimentazione dei campi di Venezia
È interessante approfondire quale fosse la pavimentazione dei campi veneziani: questi, nel 1786, erano quasi tutti lastricati interamente in masegni, con o senza disegni realizzati in pietra d’Istria. In alcuni casi, però, lo erano solamente i percorsi principali che li attraversavano al perimetro o diagonalmente; il resto era in cotto o in terreno.
Per citare qualche esempio, campo Santo Stefano, esclusa l’area privata di Ca’ Loredan che era segnata da “termini in pietra viva”, aveva 779 passi quadri di masegni, 113 di cotto in cortello e 596 di terreno; a
S. Giacomo dell’Orio erano lastricati in masegni solo tre percorsi, chiamati “stradoni”, mentre i restanti 715 passi quadri erano di mattoni in cortello. Campo S. Margherita era per più di metà superficie pavimentato in cotto, in piano ed in cortello, mentre un quarto era in terra battuta ed il resto in masegni.
In campo SS. Giovanni e Paolo c’erano due stradoni in trachite, uno che attraversava il campo e l’altro davanti alla Scuola di S. Marco; il resto del campo era quasi interamente in terra, esclusa soltanto una piccola porzione in masegni che forse si trovava intorno al pozzo. Il tracciato degli stradoni di questo campo è ancora ben riconoscibile perché i blocchi di pietra hanno una positura diversa dal resto della pavimentazione e sono segnati con cordonate in pietra d’Istria.
In campo della Celestia si trova una situazione analoga, con due stradoni in masegni ed uno in cotto che circondavano un’area lasciata in terra che si può distinguere ancora oggi per la diversa pavimentazione e per la superstite presenza di alberi.
Conclusioni
Come si può notare dalle tracce e dalla disposizione dei materiali nelle calli e nei campi, la progressiva pavimentazione degli spazi urbani avvenne conservando le zone già lastricate in masegni. Così, come abbiamo visto per campo SS. Giovanni e Paolo e come si vede in molte altre zone di Venezia, la pavimentazione conserva le tracce di quelli che erano i percorsi principali e di come col tempo si sia proceduto a lastricare le intere superfici.
La lettura di queste stratificazioni di segni e materiali permette di comprendere quale fosse l’importanza ed il ruolo degli spazi non edificati.